giovedì 10 novembre 2011

Tre copie di tutto


Finalmente è finita, hai scritto la parola più importante di tutte.
Hai prima respirato a fondo, hai battuto sul tasto enter, invio, return, insomma quello per andare a capo.
Hai esitato un momento, poi hai scritto FINE. Stando attento a non sbagliare i tasti almeno per questa parola, perché pensi che porti male. Perciò hai cercato con attenzione le lettere sulla tastiera.
Ti è rimasto il dubbio se dopo la parola Fine ci vada il punto, ma alla fine hai deciso di no, tanto si capisce lo stesso che il libro è finito.
Ti appoggi allo schienale, poi decidi che ci vuole un caffè per festeggiare, anche se sono le due di notte. Tanto lo sai che dormirai benissimo stanotte.
E' vero che domattina, cioè fra poco, dovrai alzarti alle cinque, perché fai un lavoro vero, che ti serve per vivere.
Lo so che adesso stai pensando che anche scrivere ti serve per vivere, ma è diverso. Comunque ormai basta con la filosofia da due soldi, il libro è finito. Hai rifatto tre volte il finale e forse lo rifarai chissà quante altre, ma per ora va bene così.
Fai tre copie del file su tre chiavette diverse, poi per maggior sicurezza lo registri anche su un CD.
Domani ne farai pure una copia stampata, perché la carta non si smagnetizza, non si cancella e di sicuro non te la rubano. Magari qualcuno lo facesse, potresti dire che il tuo libro va a ruba. E invece quasi di sicuro non accadrà mai.
Perché nella vita non basta essere bravi.
Una volta che hai fatto tutto quello che dovevi fare, meglio che potevi, se non c'è anche un colpo di fortuna... beh, di solito dici in un altro modo, ma il concetto è chiaro.
E tu di colpi ne hai avuti molti nella tua vita, ma di fortuna te ne ricordi davvero pochi.

Ma a questo ci penseremo domani, stasera, mentre sorseggi il caffè, goditi la soddisfazione che viene da un lavoro ben fatto.
Anche se a chiamarlo lavoro ti viene da ridere, e ripensi a quel tizio che una volta, alla presentazione di un suo libro, dove capitasti per errore fra parenti e amici annoiati, ti venne vicino e dopo essersi presentato ti vendette una copia del suo stitico libricino pieno di poesie senza metrica, senza rime, senza passione e senza cuore.
Ti fece anche l'autografo e la dedica, anche se non la volevi. Poi ti costrinse a bere un bicchiere d'aranciata senza più le bollicine e una fetta di crostata della nonna.
Tutti ti guardavano perché eri l'unico che non conoscevano.
Alla fine ti salutò lasciandoti il suo biglietto da visita. Era in caratteri tondi, come quelli delle prime comunioni o dei matrimoni dei poveri.
E sotto il nome la parola “Poeta”.
“E che lavoro è fare il poeta?” Pensasti, ma non dicesti niente, perché tutti i parenti ti stavano fissando. Sfoderasti il sorriso più ipocrita che avevi e che di solito riservavi al capo, poi lasciasti che ti stringesse la mano senza metterci niente del tuo.
Al primo bagno di quel centro commerciale di periferia ti lavasti tre volte le mani, poi lasciasti il libro di poesie sul lavandino, per qualche sprovveduto che forse l'avrebbe apprezzato più di te.
Mentre uscivi non ti accorgesti che il libro cadeva nel cestino dei tovaglioli usati.

Chissà perché ogni volta che scrivi qualcosa ti torna in mente quell'episodio. Forse per ricordarti di non credere mai di essere importante. Primo perché non lo sei, secondo perché non lo sono neanche gli altri. Neanche quelli che pensano che il mondo finirà con loro o che sia importante quella misera polemica con il critico del giornale del mattino. Oppure quelli che litigano con il correttore di bozze o con l'impaginatore perché a pagina 87 la parola destriero è stata sostituita con cavallo.

Tu non sarai mai così, pensi. E' vero che lo sai di essere bravo, ma bravi come te chissà quanti ce ne saranno. Perciò cerchi sempre di tenere a mente che non sono importanti le cose che scrivi, non è importante l'editore, né i critici che scrivono quello che vuole lui.
Tu lo sai, l'hai imparato da tempo, che la gente ti vuole bene solo fino a quando pensa di poter avere bisogno di te.
Lo sai bene e più ti dicono che sei bravo, intelligente e unico, più ti preoccupi. E infatti il giorno che capiscono che tu non vuoi, o più spesso proprio non puoi, fare qualcosa per il libro che hanno nel cassetto, improvvisamente diradano le telefonate (meglio, così hai più tempo per scrivere), e si allontanano con le loro lingue penzoloni, in cerca di altri culi da leccare.
Come vedi nei blog tenuti da giornalisti o scrittori che hanno avuto un bagliore di successo.
Se li segui per un po' di tempo vedrai il peggio dell'essere umano.
Nella speranza di essere notati si affollano in quelle poche righe, e se la saliva se non fosse solo virtuale, ti offuscherebbe lo schermo e colerebbe sui tasti.
E si impegnano eh! Mica lo fanno in maniera rozza come potresti fare tu che non sei pratico. No, loro supportano le loro slinguazzate con parole di raffinata cultura, fanno l'analisi delle opere del padrone di casa e ci trovano cose bellissime che quello non solo non ha mai pensato, ma che neanche volendo sarebbe stato in grado di metterci.
Ma gli fa piacere sentirsi definire il genio che non è e che mai potrà essere.
Lui è contento così e la sua corte di adoratori è soddisfatta di questo.
E tu che hai osato far notare che forse c'era qualcosa che non andava, sei stato cacciato in malo modo, e se non ti hanno preso a calci reali è stato solo per impossibilità, ma di quelli virtuali ne hai pieno il sedere.

Ma per stasera va bene così.
Probabilmente il tuo libro non lo pubblicherà nessuno, ma allora, ammesso che valga qualcosa, e tu sei sicuro di sì, prima di morire lo distruggerai, eliminerai ogni copia e ogni stampa. Perché di essere pubblicato postumo non hai alcun interesse e se non ti apprezzano adesso, che ti ignorino anche dopo.
Che rimangano con i loro scrittori d'allevamento. Quelli tutti uguali e pronti agli ordini del padrone, di qualunque colore esso sia.
Perché a chi cerca mani da leccare quello che serve è soltanto un padrone.
Come il più scemo dei cani, che se fosse davvero intelligente quella mano la morderebbe.

Adesso spegni il computer, lo rimetti nella sua custodia e te ne vai a letto, perché domani hai da lavorare.
E per fortuna il tuo lavoro vero ti piace.
Fuori fa freddo, è buio e solo una macchina ogni tanto riporta a casa gente insonnolita.
Ti tiri le coperte sulla testa, aggiusti il cuscino e ti addormenti, sognando la tua prossima storia, che forse nessuno leggerà mai.

Francesco Pomponio

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