giovedì 10 novembre 2011

Se io fossi un editore

Per fortuna non lo sarò mai, perché ho già i miei di problemi, come tutti, e non ho alcuna voglia di combattere con scrittori che si credono tutti candidati al premio Nobel per la letteratura.
Non vorrei affatto dover fare loro da confessore, consigliere, finanziatore (che è peggio!) oppure pacificatore fra quelli che litigano per le solite gelosie da prime donne.
Ma se per disgraziata ipotesi io fossi un editore ecco cosa farei e cosa non farei.
1) Non perderei tempo con coloro che si credono giovani promesse e che non vogliono in realtà diventare promesse mantenute. Con quelli che non vogliono capire che un romanzo non si scrive di getto in una notte insonne. Che per creare qualcosa di serio ci vogliono tante serate rubate al sonno o al lavoro, anche quando non ne avrebbero voglia e la tentazione sarebbe di stravaccarsi davanti alla tv, con il cervello al minimo.
2) Allontanerei con decisione chi crede che l'editore sia un suo servo o una maestra con la penna rossa che passi il tempo a correggere i suoi errori di grammatica, sintassi o anche solo di battitura.
3) Non accetterei neanche di leggere gli scritti di coloro che si fanno precedere da lettere di “presentazione” o da telefonate di raccomandazione. Lo fanno, oh se lo fanno.
4) Non rischierei di perdermi “il libro del secolo” per non aver aperto quel plico. Lo so che dopo decine di pacchi di carta e inchiostro sprecati, dopo una giornata faticosa e a volte inconcludente, può venire la voglia di buttare nel sacco nero dell'immondizia quello che rimane sul tavolo e andarsene a dormire. Ma “partita finisce quando arbitro fischia”. E quella busta rimasta per ultima potrebbe decidere se la mia casa editrice continuerà a vivacchiare di stenti e sacrifici personali oppure potrà svilupparsi come mi merito.
5) Non accetterei testi per email. Se un autore, oltre a creare, deve preoccuparsi di far stampare la sua opera da una copisteria decente, di farla rilegare e metterci una copertina, forse se non è sufficientemente motivato lascerà perdere. Probabilmente senza grossi danni per la letteratura.
Ed è anche una forma di rispetto per chi dovrà leggere quelle pagine.
Caratteri della giusta dimensione, non microscopici per risparmiare nella spedizione e sulla stampa. Spediti per posta ordinaria perché andare a ritirare le raccomandate è una enorme perdita di tempo, specialmente nelle grandi città. Non parliamo poi dei corrieri. Che arrivano sempre quando non ci sei.
6) Accetterei che i manoscritti mi venissero consegnati di persona dall'autore. Ovviamente su appuntamento, perché nella vita ho anche altro da fare.
Ma mi piacerebbe guardare in faccia il futuro premio Nobel e parlarci per qualche minuto.
Potrebbe dirmi cose che mi invoglierebbero a leggere il suo libro, oppure me ne farebbero passare subito la voglia, con grande risparmio di tempo.
7) Non giudicherei dalle apparenze, nè dall'età o dal titolo di studio.
8) Non accetterei mai opere sotto pseudonimo o anonime. Se anche uno si chiama Pippo De Pippis, lo pseudonimo se lo può trovare dopo, se proprio si vergogna del suo nome, ma io esigerei di conoscerlo fin da subito.
9) Scarterei subito i plichi troppo “originali”. Quelli incartati in confezioni assurde per farsi notare fra gli altri. Una busta è una busta, il resto è inutile folclore, buono a gettare fumo negli occhi degli sprovveduti. E' il testo quello che conta.
10) Eviterei assolutamente di rispondere a coloro le cui opere risultassero impubblicabili. Si arrabbiano molto e in questo mondo di matti non lo sai quello che potrebbero fare. Considerando che conoscerebbero il mio indirizzo. Lo so che fare l'editore è un lavoraccio, ma vorrei continuare a farlo per un altro po' di tempo, andando in ufficio con le mie gambe.
11) Pagherei puntualmente le fatture del tipografo e dei collaboratori, ma non assumerei nessuno come dipendente. E' il modo migliore per rovinarsi.
12) Metterei al primo posto fra le priorità quella di VENDERE i libri. Primo perché se li regali non li leggono, secondo perché il lavoro non si può regalare, come diceva Petrolini, che non regalava biglietti omaggio neanche ai parenti.
13) Stamperei solo le copie che penso di vendere, in digitale si fanno cose egregie oggi, se si ha uno stampatore come si deve. Se poi ne serviranno altre ci vorrà poco tempo e poca spesa a ristamparle. Si risparmierà in carta sprecata e in spese di magazzino.
14) Stabilirei rapporti di collaborazione con i miei colleghi, quando possibile (a volte gli editori litigano peggio degli scrittori) per ottimizzare costi e spese di stampa, garantendo al tipografo una certa quantità di lavoro e cercando di ottenere dei prezzi più convenienti.
15) Non pubblicherei testi di scarso o nullo valore solo perché l'autore potrebbe “essermi utile”. Sono cose che si scontano sempre, perché il lettore, il mio vero cliente e colui che tiene in vita la mia casa editrice, non ha piacere di essere turlupinato.
16) Ogni tanto uscirei dall'ambiente di lavoro e vivrei la normale vita banale di tutti gli altri. Per riflettere e farmi venire nuove idee.
17) Mi ricorderei spesso che è vero che bisogna essere bravi e competenti, ma nella vita la correttezza e un buon carattere fanno sempre la differenza.
Questo sono le cose che farei e non farei, se fossi un editore.
Ma per fortuna non lo sono, perciò questa notte dormirò tranquillo.

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