domenica 13 novembre 2011


Il tempo non è nostro
di Francesco Pomponio

“Il tempo non è nostro, noi al massimo possiamo limitarci ad utilizzarlo o spesso a sprecarlo.”
Lei lo guardò con aria interrogativa, come faceva sempre quando lui se ne usciva con queste sue perle di saggezza.
“Anzi neanche lo sprechiamo, perché sprecarlo è un concetto nostro del quale il tempo si infischia, noi ci passiamo solo attraverso. E non è il tempo che finisce, ma noi.”
“Non sei allegro oggi.” Disse Martina.
“Non vedo come potrei esserlo visto che mi hai detto che non vuoi più saperne di me.”
“Non ho detto che non voglio più saperne, ho detto che ho bisogno di tempo per vedere le cose in un modo diverso.”
Andrea la guardò e si rese conto che le persone sembrano più belle quando stai per perderle.
“Ma è quello che dicevo. Tu pensi di avere tempo e invece non abbiamo neanche i prossimi cinque minuti. Non abbiamo niente.” Nella sua voce echeggiò una piccola nota di disperazione che ovviamente Martina non raccolse, persa com'era a rimuginare le offese che riteneva di aver ricevuto.
Era una di quelle giornate roventi che provocano i soliti titoli sui giornali nei quali si consiglia di non uscire con il caldo, di mangiare frutta e bere molto.
Uno di quei giorni nei quali non si immagina la fine di un amore.
La si può accettare d'inverno, quando fa freddo, oppure nella pioggia d'autunno che è già triste di per sé. Ma non d'estate, quando si vorrebbe andare al mare con la moto, sentendo lei stretta dietro e cercando di avvertire la forma del suo seno attraverso il giubbotto pesante che, da buon motociclista saggio, si porta anche se fa caldo.
E si vorrebbe stare per ore a guardarla mentre si abbronza, e spalmarle la crema sulla schiena, deviando ogni tanto nelle vicinanze, prima che lei ci rimproveri per scherzo.
Questo si dovrebbe fare nelle giornate d'estate, quando il lavoro finisce, la scuola chiude e la mente scioglie i pensieri che per tutto l'anno sono stati chiusi nella gabbia delle convenzioni.
Oppure passeggiare per le strade infuocate e deserte di visi noti. Piene solo di gente che passa, fotografa tutto e se ne torna alla sua casa lontana, dove si mangia diverso da noi e non si capirebbe quello che dicono.
E andarsene soli in quella confusione, tenendosi la mano sudata e approfittando della poca ombra per baciarsi rapidamente. Come il volo di un passero alle prime armi.
Ma lei era irremovibile, e voleva prendersi il suo tempo, credendo di avere tutto quello che voleva.
Andrea non riusciva a trovare altre parole per convincerla, e forse neanche voleva trovarle più. E il tempo sgocciolava verso la fine, come l'acqua dei condizionatori che cadeva dai balconi sulle teste dei passanti.
Avevano tutti e due il cuore vuoto, forse per motivi diversi, oppure il motivo era lo stesso, ma non lo sapevano.
Camminarono ancora un po', e alla fine Martina decise che per il momento non c'era più nulla da dirsi. Era troppo amareggiata e neanche si chiedeva chi avesse ragione o se fosse lei esagerata a prenderla così.
Lo salutò con una carezza indefinibile e se ne andò, senza altre parole.
Lui la guardò allontanarsi senza riuscire a muovere un altro passo, finché lei non svoltò dietro l'angolo di un vicolo.
Il caldo faceva tremare l'aria e non c'erano nuvole nel cielo lattiginoso.
“E' piena di difetti, ed è pure un po' stronza, ma allora perché sto così, adesso che se ne va?” Si chiese Andrea.
“Forse perché sei stronzo anche tu.” Disse la sua coscienza.
“E tu sei la coscienza di uno stronzo, allora.”
“E' quello che dicevo io!” Rispose quella.
Il sole picchiava sulla sua testa e decise che sarebbe stato meglio ripararsi all'ombra, per quello che poteva servire stare all'ombra dentro un forno. Ma forse avrebbe smesso di farsi le domande e anche le risposte.
Martina, con gli occhi lucidi, camminava veloce verso la fermata dell'autobus. I tacchi affondavano nell'asfalto dei marciapiedi e il caldo saliva sotto la sua gonna leggera.
“Fra qualche giorno lo chiamo, ma adesso no.” Pensava.
Ma bastano pochi istanti per rovinare tutti i nostri progetti, altro che qualche giorno.
E forse è vero che il tempo non è di nostra proprietà e se non lo usiamo non possiamo metterlo da parte per dopo.
Come l'acqua del fiume nel quale facevano il bagno, quando ancora si volevano bene.

Francesco Pomponio

Roma, 14 luglio 2010

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