martedì 11 febbraio 2020

Racconto: Diario.

IL racconto del lunedì (10 febbraio 2020)

Diario.

Mangiamo tutto il giorno, ogni volta che ne abbiamo voglia.
Il cibo è sempre disponibile. Non è molto vario, ma è abbondante e di gusto tollerabile, e del resto non ho avuto molte occasioni per assaggiare cose diverse.
Non ricordo di essere mai uscito da qui, a parte qualche giorno in cui vidi il sole, ma ero piccolo allora. 
Non che mi trovi male, anzi. Non ci fanno mancare niente, l'ambiente è pulito, e anche se quelli che fanno le pulizie vanno molto per le spicce in compenso abbiamo tutto.
Un giorno si sono accorti che mio fratello aveva un debole per l'altro sesso e non ci hanno pensato due volte ad accontentarlo, anzi da quel momento non ha fatto altro e  tutte le meglio sono riservate a lui.
Ma io non sono invidioso, sto bene anche così, se non fosse che a volte succedono delle cose che non capisco.
Ci sono dei giorni in cui c'è una strana agitazione, sempre però negli altri settori. Arrivano degli esseri vestiti di bianco che si guardano attorno scrivendo ogni tanto delle cose. 
Poi il settore si vuota e per un po’ scende il silenzio. Ci chiediamo dove vadano tutti quei visi conosciuti, non ne ho più rivisto uno.
Ma dopo alcuni giorni nelle celle vuote ecco che ricompaiono dei giovani. Sono un po’ spaesati all'inizio e noi ci divertiamo a prenderli in giro, però si ambientano subito e la prima cosa che fanno è di cominciare a mangiare.

Oggi piove.
Da un buco della mia cella riesco a vedere fuori. Riconosco le piante e le pozzanghere che si formano sempre nelle stesse buche.
Passo le ore a guardare fuori, con un occhio solo perché il buco è piccolo. Talmente piccolo che nessuno se n'è accorto.
Solo di rado vedo alcuni veicoli sobbalzare sulla strada.
Sto qui per conto mio, mentre i miei compagni si ingozzano di cibo. Io ho sempre mangiato poco, considerando che non faccio nulla tutto il giorno, non ho bisogno di molto.
La pioggia batte monotona sul tetto e la giornata trascorre inutile. Comincio a stancarmi di questo far niente. A loro, ai miei amici, piace, ma essi non hanno un buco che permetta di vedere il mondo di fuori.
Non sanno che esistono altre cose oltre a questo posto così accogliente e pieno di cibo.
Un forte rumore rimbomba nell'aria. Il rumore della pioggia aumenta e tutto piomba nel buio. Tutti gli altri gridano spaventati, ma io ho il mio buco nel muro e so che fuori c'è ancora luce, perciò non mi agito più di tanto.
E scopro che al buio le immagini di fuori le posso vedere capovolte sul muro della mia cella. Ecco, ora sta passando un veicolo rosso e ne sento anche il rumore, nonostante il rumore della pioggia.
Mi stendo sul pavimento e rimango ad osservare le figure sfocate che camminano a testa in giù sulle pareti.
Ma la luce ritorna e le immagini spariscono.
Però almeno oggi è successo qualcosa.
La pioggia si affievolisce, di fuori diventa notte e alcune piccole stelle cominciano a tremare nel cielo nero.
Deve far freddo nei campi, ma per fortuna qui è ben caldo.

Oggi è il giorno della puntura. 
Arrivano vestiti di bianco e senza troppi complimenti ci iniettano chissà cosa. La prima volta ebbi paura e tutta la notte non dormii aspettando di morire da un momento all'altro.
Ma non era loro intenzione farci morire, anzi sembra che stiamo meglio di prima, così ora il giorno della puntura è quasi un piacevole diversivo nella nostra vita monotona.
Quello che non capisco e' perché facciano tutto questo per noi.
Ma forse sono l'unico a chiedermelo. Con gli altri non ne posso parlare perché pensano solo a mangiare e a fare altre cose che non sto a descrivere. Nessuno vuol sentire i miei discorsi e così me ne ritorno vicino al muro a guardare di fuori.
Stamattina c'è un bel sole e l'albero è pieno di fiori bianchi.
Le pozzanghere sono soltanto buche perché è da molto che non piove, lontano riesco a vedere le montagne ancora coperte di bianco e nel cielo qualcosa che vola, luccicando.

Le giornate passano e non le conto più. Sono dimagrito perché sto sempre qui a guardare di fuori e quando arrivo a mangiare gli altri hanno divorato anche la mia parte.
E' venuto un tipo, doveva essere un medico e mi ha esaminato da ogni parte, poi ha concluso che sto bene in salute e che dovrei solo nutrirmi di più, ma io non ne ho voglia.
Vorrei uscire di qui ogni tanto, mi manca il sole di quando ero piccolo e correvo con i miei fratelli, ma credo che dovrò accontentarmi di vederlo di nascosto.
Fa caldo, e non si può fare altro che starsene distesi cercando di muoversi il meno possibile, ma io vorrei fare qualche altra cosa. Vorrei uscire a respirare un po’ d'aria fresca, cominciamo ad essere troppi qui dentro. Dopo tornerei, lo giuro, anche perché non saprei dove andare. Del resto non so neanche da dove 
vengo e perché sono qui, ma a questo e' meglio non pensare.

Oggi è scomparso mio fratello.
Non lo vedo più nella sua cella riservata dove gli portavano tutte le più belle, e anche qualcuna brutta per la verità, ma lui era di bocca buona e gli andavano bene tutte. Chissà che ha combinato per farsi trasferire da qualche altra parte, ultimamente sembrava essersi stufato del sesso, forse ora ha una stanza migliore e probabilmente ha fatto carriera, lui se la cava sempre, mica è come me.

Ricominciano le piogge, le foglie dell'albero stanno cambiando colore e un po’ alla volta se ne cadono dentro le pozzanghere.
Piove da tanti giorni e le gocce picchiano sul tetto, stiamo più silenziosi ora, non si può sempre parlare delle stesse cose e la noia ci distrugge.
Dormo molto, così il tempo passerà prima, e forse succederà qualcosa. 
Ogni giorno un veicolo passa sulla strada e fa tremare il pavimento.

Stamattina qualcosa è successo.
Mi sono svegliato e dal mio buco segreto veniva più luce del solito. Ho guardato fuori e ho visto l'albero.
Non ha più foglie ormai, ma i rami erano ricoperti di bianco. Anche la strada era tutta bianca e così le montagne lontane.
"Neve! Neve!" Sentivo gridare da giovani voci.
Un uccellino si è avvicinato al mio buco cercando di guardare dentro poi, dopo due colpetti di becco sul muro se n’è volato via. Credo che avesse fame, ma il buco è troppo stretto per passargli qualcosa. Noi qui ne abbiamo in abbondanza e per me è anche troppo.
Avvicino la bocca al foro cercando di respirare il vento gelato che fa cadere la neve dai rami dell'albero. Pian piano viene notte e il silenzio avvolge le poche cose che conosco. La strada, l'albero, le montagne, le stelle e questa mia cella.

Finalmente stamattina si esce.
Non ne potevo più di stare chiuso qui dentro e qualsiasi cambiamento sarà sicuramente preferibile a quelle quattro mura di cui conosco ormai ogni crepa.
Ci avviano uno dietro l'altro per un corridoio scivoloso.
Una luce bianca illumina il grande salone nel quale entriamo. 
Macchine mai viste rumoreggiano sopra di noi e strani arnesi di metallo vanno e vengono sul soffitto.
Procedo senza sapere dove vado, spinto da coloro che mi seguono.
Davanti a me c'è il mio vicino di cella che a malapena passa per lo stretto corridoio, è grasso lui, ma del resto non faceva altro che mangiare.
Ora bisogna attraversare una vasca con poca acqua, ho un po’ di paura, ma da dietro mi spingono e non posso fermarmi.
Entro con cautela ma non è gelata come mi aspettavo.
Sono ormai in mezzo alla vasca quando sento qualcosa che mi scuote per tutto il corpo. Non ho mai provato una sensazione del genere e sto per svenire, ma proprio quando temo di crollare finisce tutto.
Che ci stanno facendo? Io mi aspettavo una passeggiata nell'aria fresca e invece mi sento malissimo, a malapena mi reggo in piedi.
Però ora il corridoio è finito.
Con due grembiuli lucidi mi aspettano all'arrivo.
E non posso fermarmi. Ora vengo spinto avanti anche senza muovere un passo.
Il mio vicino di cella volteggia appeso al soffitto a testa in giù.
Per un istante ricordo le immagini capovolte sul muro. Ma quello era il mio albero. Erano le montagne, e l'autocarro che passava ogni mattina. 
Poi, nonostante sia intontito, capisco, ma non posso crederci.
Non è possibile che ci abbiano fatto nascere per questo.
Un dolore forte in mezzo alla fronte e la luce va via, ma stavolta non c'è il rumore della pioggia ad accompagnarlo.
Per un istante sento le voci di coloro che mi hanno nutrito per tutto questo tempo.
"Questo qui non voleva  saperne di ingrassare, ma qui alleviamo maiali mica siamo un albergo, vuol dire che ci verranno dei bei prosciutti magri, che ce li pagano pure di più...."


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Tratto dalla raccolta di racconti di Francesco Pomponio
"La macchina del tempo esiste già"
Diamond Editrice.

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francesco.pomponio@gmail.com
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